Siamo popolo in cammino
Siamo popolo in cammino
Il racconto di don Aurelio tra ricordi d’ordinazione, scelte condivise e nascita della Comunità Pastorale della Serenza.
Questo scritto nasce da un invito. Si stava discutendo nell’ambito della festa della nostra comunità pastorale dove celebrare la S. Messa solenne domenica pomeriggio 29 giugno. In oratorio a Carimate all’aperto oppure in chiesa parrocchiale S. Giorgio nell’intento di agevolare la presenza dei fedeli di fronte all’afa opprimente, alla calura potente di quei giorni di fine giugno. Don Alberto ampliava la discussione, chiedeva consigli contattando anche il presidente del Gs. Carimate. Inoltre don Mario aveva fatto presente la sua difficoltà dopo essersi speso per le celebrazioni del mattino. Don Riccardo assieme ad un gruppo di Figino era salito sulla cima del Pizzo Tresero (3602 mt.) per ricordare il 60° della posa della croce innalzata ai tempi di don Alberto Busnelli, amato coadiutore d’oratorio.
“Don Au, visto che questo 29 giugno ricordi 52 anni della tua ordinazione presbiterale, racconta nell’omelia qualcosa che ci aiuti a capire quella data?” chiedeva a me don Alberto, parroco.
Con uno sforzo di memoria e con parole quasi simili così mi esprimevo.
Tempi addietro il 28 giugno era una data “storica” perché nella diocesi di Milano era il giorno delle ordinazioni presbiterali in Duomo per opera dell’Arcivescovo e il giorno successivo, festa dei santi Pietro e Paolo, nei vari paesi i preti novelli celebravano la loro prima messa.
Anche i nostri don Materno, don Mario e don Giancarlo in quella giornata dei santi Pietro e Paolo avevano celebrato la loro “prima messa” (ai loro tempi) nei rispettivi paesi di origine.
Cosa ricordavo di quel mio 29 giugno 1973? Ci eravamo accordati per una concelebrazione con il nostro parroco di Lentate e i due sacerdoti novelli: don Mauro Radice e don Aurelio Redaelli. Avevamo deciso così, convinti e contenti. Due preti novelli, ambedue della stessa leva, un cammino fatto insieme con un legame anche di parentela. Il 5 ottobre 1959 era stato il nostro ingresso in seminario in prima media. A quel tempo seminario di Seveso S. Pietro.
Poi terminata la “lunga gavetta” seminaristica il 28 giugno 1973, un giovedì mattino, eravamo stati ordinati sacerdoti per imposizione delle mani dell’Arcivescovo di allora Card. Giovanni Colombo.
Di quel periodo ricordo la settimana di silenzio, preghiera, riflessione. Erano i cosiddetti esercizi spirituali presso i padri di Rho alla vigilia della nostra ordinazione. Una delle domande forti che ci venivano rivolte: quali possono essere i punti di riferimento per un giovane prete che inizia il suo cammino?
Tre verbi mi sono sempre rimasti nel cuore.
Primo: amare perché siamo stati grandemente amati dal Signore, dai nostri genitori, dai nostri preti, dalle tante persone dal cuore buono, dalla nostra catechista nelle elementari, dai diversi compagni di seminario e amici vari che poi ci avevano lasciato perché consapevoli che la loro vita comportava un diverso sbocco vocazionale.
Secondo: servire. La vita del prete ambrosiano, ci dicevano, è un servizio, è un rendersi disponibile ad andare presso quella porzione di popolo di Dio dove il Vescovo ti invia. “Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto e obbedienza?” “Sì, lo prometto”. Il prete ambrosiano muore in trincea.
Terzo: patire. Come si dice: non ovunque sono rose e fiori. Prima o poi incontri la vocazione alla sofferenza. Magari per un parroco che trovi ma è diverso da te. Una comunità che si aspetta un certo cammino e invece tu … Qualcuno che si mette di traverso e non lo capisci. Una delusione, una amarezza…
Ecco tre verbi pesanti e impegnativi. Condivisi e confermati anno dopo anno. Nel 2021 Don Mauro partiva per tornare alla casa del Padre nel tempo drammatico del covid. Ci siamo sempre domandati: perché il Signore ha scelto noi? perché proprio io? cosa ho fatto di meritevole per avere questa benedizione? Sempre riconoscenti di fronte al disegno misterioso di Dio, anche oggi, e anche domani.
Mi esprimevo più o meno così durante l’omelia dell’altro giorno.
Mi stuzzicava anche una seconda domanda.
Perché la nostra comunità pastorale è chiamata Comunità Pastorale S. Paolo della Serenza?
Serenza dice la nostra zona, e questo è facilmente comprensibile. Ma cosa c’entra S. Paolo? Racconto alcuni particolari per comprendere meglio. Era il 2009. Verso maggio/giugno piombava in mezzo a noi il vicario episcopale il quale, con intervento deciso, “a gamba tesa”, diceva a noi parroci: “L’Arcivescovo dice che le vostre quattro parrocchie devono iniziare ad essere comunità pastorale! Un parroco unico. Gli altri preti sono vicari parrocchiali”.
Silenzio glaciale tra noi. Don Arnaldo a Figino, don Adelio a Novedrate, don Egidio a Carimate, io a Montesolaro. Facile immaginare un incendio di vaste proporzioni. (Forse un po’ di brace ci sta ancora oggi!) Comunque bisognava trovare un titolo a quella nuova impostazione. Era il maggio/giugno 2009. Si stavano concludendo le iniziative per ricordare i duemila anni della nascita di S. Paolo apostolo. Una bellissima udienza, nel febbraio di quell’anno, di Papa Benedetto XVI sulla figura dell’apostolo veniva molto commentata e apprezzata. Prendendo spunto da lì avevo osato proporre: “Dedichiamo questo nostro nuovo cammino alla protezione di S. Paolo dove in lui si manifesta la potenza del Signore e la fragilità della sua persona. Qui ci stiamo dentro tutti”.
Il silenzio dei confratelli veniva colto come indicazione e approvazione da parte del Vicario Episcopale quale nuovo titolo della nascente Comunità Pastorale.
Con questo cammino cronologico penso di aver dato motivi sufficienti per una risposta esauriente alla seconda domanda. A quel punto l’emozione mi prendeva. Pensando a quei giorni, i miei ultimi giorni a Montesolaro, invitavo con voce strozzata: “Camminiamo insieme!”
Così, ampliando un pochino, ho ricostruito le mie parole a braccio in occasione della festa della Comunità Pastorale della Serenza, domenica 29 giugno 2025, concelebrazione ore 18.